Siamo alla vigilia del Natale e rileggevo, alla luce di questo evento, alcune notizie che sono rimbalzate con accenti diversi nella comunicazione che risulta sempre più frenetica e spesso non ci permette di cogliere con lucidità l’essenza degli avvenimenti.
Alla fine di novembre la Commissione Europea aveva proposto un documento che conteneva le linee guida per una comunicazione definita come il più possibile corretta: niente più ‘Miss o Mrs’ (signorine e signore), sostituite da un più generico ‘Ms’. “Ogni persona in Ue ha il diritto di essere trattato in maniera eguale” senza riferimenti di “genere, etnia, razza, religione, disabilità e orientamento sessuale”, prosegue il documento, suddiviso in diversi capitoli. Le festività inoltre non dovranno più essere riferite a connotazioni religiose, come il Natale, ma citate in maniera generica. La direttiva Ue chiedeva di evitare nella comunicazione ufficiale dell’Europa gli auguri di ‘Buon Natale’, e i nomi di Maria, Giuseppe, Gesù perché simboli non inclusivi dell’accoglienza che dobbiamo ai simboli e ai valori di altre culture e confessioni religiose.
Il documento è stato poi ritirato ma la sostanza resta…..ed è molto triste dover considerare che il simbolo per eccellenza dell’accoglienza, dell’inclusione, dell’attenzione all’altro in difficoltà è stato scambiato come un simbolo non inclusivo. Come è possibile non riconoscere che la “nostra cultura” è quella cristiana ed è la stessa che riconosce come centrale la dignità di ogni uomo e riconosce come proprio Re un umile Bambino nato in una mangiatoia. “La storia della salvezza vede dunque un noi all’inizio e un noi alla fine, e al centro il mistero di Cristo, morto e risorto «perché tutti siano una sola cosa» (Gv 17,21). Il tempo presente, però, ci mostra che il noi voluto da Dio è rotto e frammentato, ferito e sfigurato. E questo si verifica specialmente nei momenti di maggiore crisi, come ora per la pandemia. I nazionalismi chiusi e aggressivi (cfr Fratelli tutti, 11) e l’individualismo radicale (cfr ibid., 105) sgretolano o dividono il noi, tanto nel mondo quanto all’interno della Chiesa. E il prezzo più alto lo pagano coloro che più facilmente possono diventare gli altri: gli stranieri, i migranti, gli emarginati, coloro che abitano le periferie esistenziali. In realtà, siamo tutti sulla stessa barca e siamo chiamati a impegnarci perché non ci siano più muri che ci separano, non ci siano più gli altri, ma solo un noi, grande come l’intera umanità” (Papa Francesco per la Giornata mondiale del Migrante e del Rifugiato).
Queste parole del Papa mi riportano al dramma dell’aumento globale della mobilità forzata unito alle chiusure della “inclusiva” Europa evidenziato dalla quinta edizione del rapporto “Gli ostacoli verso un noi sempre più grande” che la Fondazione Migrantes ha presentato in occasione della giornata mondiale del migrante del 14 dicembre, e lo ha dedicato a richiedenti asilo, rifugiati e migranti forzati.
Il 2020 è stato l’anno nero della pandemia, ha reso difficili i movimenti ed ha inasprito il divario fra la parte ricca del mondo e l’altra. Italia ed Europa hanno rappresentato un’eccezione per i profughi. Mentre nel mondo per l’aumento della povertà e dei conflitti il numero delle persone in fuga è aumentato fino a una stima di 82,4 milioni, nell’Ue si è registrato un calo degli arrivi “irregolari” di rifugiati e migranti (- 12% rispetto al 2019) e i richiedenti asilo sono crollati di ben un terzo. Ma “la sempre più inclusiva” a parole Ue continua ad alzare i muri alle frontiere e non solo simbolicamente venendo meno ai propri principi.
Ai primi di novembre 2021 la stima (minima) dei migranti morti e dispersi nel Mediterraneo ha già superato il totale del 2020, 1.559 contro 1.448. Lo scenario di questo “nuovo” disastro umanitario, circondato dalla sostanziale indifferenza degli Stati europei e dell’UE, è soprattutto il Mediterraneo centrale, sulla rotta che conduce verso l’Italia e Malta, dove sempre ai primi di novembre 2021 si contano già più di 1.200 morti e dispersi, contro i 999 di tutto il ’20. La Chiesa italiana si è espressa sempre più spesso contro questo stato di cose ed i nostri vescovi “hanno più volte denunciato l’inaccettabile dramma dei migranti chiedendo una risposta ispirata ai quattro verbi: accogliere, proteggere, promuovere, integrare. Per la Chiesa che è in Italia stare accanto ai più deboli è una scelta che si rinnova ogni giorno. A questo proposito, ricordo l’impegno degli ultimi anni con cui si sono garantiti oltre 700 posti ai profughi provenienti da Kabul con i ponti aerei mentre recentemente la Cei ha firmato un nuovo protocollo con il governo italiano per l’apertura di un corridoio umanitario da Iran e Pakistan per trasferire in Italia in modo sicuro e legale rifugiati afghani con un progetto di integrazione collegato” (mons. Stefano Russo segretario generale della CEI).
Ed allora il “Bambino” che nasce mi auguro non ci porti solo serenità, luce e pace interiore ma ricordando le parole di don Tonino Bello: “Gesù che nasce per amore vi dia la nausea di una vita egoista, assurda, senza spinte verticali. E vi conceda la forza di inventarvi un’esistenza carica di donazione, di preghiera, di silenzio, di coraggio”.
Buon Natale!