Lettera dalla Caritas – Gennaio 2023
Almeno a una rondine
Non lasciare questa terra
senza avere raccontato
almeno a una rondine
ciò che hai sognato di essere,
icona del più bello tra i figli dell’uomo
in mite umile rigorosa dolcezza.
Sogno mille volte tradito
mille volte risuscitato.
(Giancarlo Bruni)
Con gennaio inizia un nuovo anno. E’ il mese che chiama a “ricominciare”. Ogni tempo che inizia porta con sé la fatica di storie complesse, ma anche la possibilità di riempirlo di novità. Occorre mettere in gioco l’entusiasmo e il coraggio, certi che, dopo la freddezza dell’inverno arriva il tepore della primavera, dopo il tramonto si può attendere l’albeggiare, dopo il dolore della croce non mancherà la gioia della resurrezione.
A volte nei ‘ricominciamenti’ però c’è bisogno di qualcuno che accompagna, qualcuno dalle parole che scaldano il cuore, con i piedi sulla strada della vita e lo sguardo orientato sul bello che germoglia, perché le tante brutture non cancellino la speranza.
Davvero è necessario tappare le orecchie di fronte alle lamentele e alle critiche distruttive dei soliti “adoratori della morte”, per aprire gli occhi sulla bellezza che spesso si nasconde nei dettagli e nei frammenti, come il sorriso di un bimbo o le carezze di due innamorati.
E’ poi è importante il recupero della semplicità: siamo diventati un po’ troppo complicati, mentre i grandi misteri, come quello di Dio, della vita e della morte, sono semplici. A volte, siamo insoddisfatti e tristi, perché non ci facciamo bastare l’amore che pure la vita ci riserva, i tanti doni immeritati che continuamente riceviamo.
Infine è importante abbracciare, non respingere o nascondere, le fragilità, parte della vita di tutti. Fanno pensare le parole di don Luigi: “Non sopporto il volontariato: troppo generoso, troppo bravini. Il massimo dell’amore è un’altra cosa: è delicatezza, rispetto, perché a volte una mano sulla spalla per una persona è troppo, è necessaria una carezza. Ciò che ci insegnerà l’accoglienza non sarà l’efficienza dei progetti, ma la memoria delle nostre ferite, altrimenti continueremo ad avere dei poveri e non dei compagni di viaggio, continueremo a dividere tra ospitati e ospitali”.
Ed allora ricominciamo per portare avanti la vita, mai frenarla, eliminando ogni rigidità, mettendo insieme dolcezza e fermezza. “E per fare questo occorre tornare ad essere “innamorati da morire” della vita, della gente, del creato. Occorre tornare a benedire, ‘dire-bene’ di tutto e di tutti.
Dice don Luigi che bisogna benedire i piedi: è importante camminare finché si campa. Se si smette di camminare ci si stanca e si muore. Benedire le mani: perché si posino con delicatezza sulle cose e tocchino in modo carezzevole i tanti crocifissi messi fuori dalle mura delle città. Benedire gli occhi perché siano sempre sintonizzati con lo sguardo compassionevole di Dio. E benedire il cuore perché generi l’energia buona dell’amore che porta ad assicurare l’essenziale ad ogni donna e ad ogni uomo: un pezzo di pane, un po’ d’affetto e un posto dove sentirsi a casa. Solo così non si vive invano, come dice una stupenda poesia di Emily Dickinson:
“Se io potrò impedire ad un cuore di spezzarsi,
non avrò vissuto invano,
se allevierò il dolore di una vita
o guarirò una pena
o aiuterò un pettirosso caduto
a rientrare nel nido
non avrò vissuto invano”