Veglia pasquale 20.04.2019
1. L’OTTAVO GIORNO
La settimana Santa è pensata in parallelo alla prima settimana del mondo, di cui segue idealmente la scansione dei giorni. Al sesto giorno, sul Golgota, il secondo Adamo plasma di nuovo, e in modo migliore, il primo Adamo e porta a termine la ricapitolazione della storia umana. Al settimo giorno il Cristo riposa nel cuore della terra, dopo la fatica della nuova creazione del mondo, come anche Dio riposò nel primo sabato del tempo. Questo sabato benedetto, tempo di grande silenzio, chiude la settimana della redenzione dell’umanità e la apre alla nuova condizione di vita. Celebriamo questa santa notte il compimento del progetto di Dio che è il passaggio di questa umanità nel regno eterno, alla vita indistruttibile. Nella liturgia della Chiesa la fine di un ciclo e anche l’annuncio e l’inizio del giorno seguente, per cui la veglia notturna del grande sabato sfocia nell’inizio di un’altra vita. Così siamo all’ottavo giorno, nella domenica di Pasqua, il giorno del Signore risorto, che è anche il primo della settimana, in quanto è l’inizio della creazione nuova, il principio della vita nuova uscita dalla tomba.
2. GIORNO DEL TRANSITO
Siamo allora nella Pasqua che essenzialmente è un ‘transito’, un passaggio, una traversata, non sempre facile, a volte pericolosa, specie per i soliti faraoni di turno, sempre pronti ad ostacolare percorsi di liberazione. E’ un cammino iniziato al momento della creazione, quando Dio ha fatto passare il mondo dal non essere all’essere; è continuato nell’esodo, quando ha fatto passare il popolo di Israele, guidato da Mosè, attraverso il Mar Rosso; è proseguito nella pienezza dei tempi, quando il Messia è passato dal cielo al seno della vergine, fino ad arrivare al compimento di questa notte, la notte di Pasqua, quando il Cristo, dopo aver strappato all’oscurità delle tombe il genere umano, lo ha fatto passare dalla terra al cielo.
Tale è la Pasqua del Messia, che non è conclusa nella sua persona: nella sua Pasqua infatti avviene anche la nostra Pasqua. Ma c’è un problema: le traversate pasquali hanno bisogno di ponti! A tal proposito c’è una deliziosa parabola musulmana che lo scrittore serbo-croato Ivo Andric, Nobel nel 1961, riporta nel romanzo “Il ponte sulla Drina”: «Ecco come venne eretto il primo ponte del mondo. Quando il Signore, il potente ebbe creato questo mondo, la terra era piana e liscia come una bellissima padella di smalto. Ciò dispiaceva al demonio, che invidiava all’uomo quel dono di Dio. E mentre essa era ancora quale era uscita dalle mani divine, umida e molle come una scodella non cotta, egli si avvicinò di soppiatto e con le unghie graffiò il volto della terra di Dio quanto più profondamente poté. Così, come narra la storia, nacquero profondi fiumi e abissi che separano una regione dall’altra. […] Si dispiacque il Signore quando vide che cosa aveva fatto quel maledetto; ma poiché non poteva tornare all’opera che il demonio con le sue mani aveva contaminato, inviò i suoi angeli affinché aiutassero e confortassero gli uomini. Quando gli angeli si accorsero che gli sventurati uomini non potevano superare i burroni e gli abissi per svolgere le loro attività, al di sopra di quei punti spiegarono le loro ali e la gente cominciò a passare su di esse. Per questo la più grande buona azione è costruire un ponte» (cap. XVI).
Ora non più le ali degli angeli, ma la croce è diventata il grande ponte attraverso il quale Cristo ha compiuto innanzitutto l’opera di riunificazione del divino e dell’umano, che si è realizzata in maniera perfetta, senza confusione e senza divisioni. Come sia possibile la divinizzazione dell’umanità e come questo possa avvenire nello spazio umano della Chiesa si spiega unicamente con la potenza dell’amore di Dio, con la sua grazia. Ma la croce non è fatta solo dal legno verticale, che unisce il cielo e la terra, ma anche da quello orizzontale, col quale Cristo ha abbattuto il muro che era frammezzo, facendo dei due un popolo solo. La Pasqua infatti racconta, non solo un ‘addormentarsi’, per passare dal ventre della terra al grembo di Abramo, ma anche la possibilità di ‘non morire dentro’, cioè del vincere ogni tipo di morte, già qui ed ora.
Come ricorderemo fra poco, siamo entrati nella Chiesa attraverso il battesimo, la nostra Pasqua personale, con cui abbiamo cessato di esistere semplicemente come persone perché ci è stato fatto il dono di vivere da figli di Dio, cioè di morire alla vita vecchia e rinascere alla vita nuova. L’Eucarestia, con cui concluderemo questa santa Veglia, invece è la Pasqua comune di questo corpo totale che, di celebrazione in celebrazione, si va trasformando in Colui che riceve e quindi ci apre alla dimensione, tanto meravigliosa quanto difficile, della fraternità, dell’essere in Cristo un solo corpo. Sono doni grandi, di cui non finiremo mai di ringraziare il Signore, perché la morte avviene quando non c’è Dio nella nostra vita, quando non viviamo relazioni autentiche e belle tra fratelli. Cristo si è fatto ‘ponte’, e nei sacramenti del Battesimo e dell’Eucaristia, ci da modo di raggiungere il Padre di tutti e di vivere la fraternità con tutti, al di la del colore della pelle, della cultura e delle diverse religioni.
3. COME LE MIROFORE
Abbiamo ascoltato nel Vangelo che: “il primo giorno della settimana, al mattino presto [le donne] si recarono al sepolcro, portando con sé gli aromi che avevano preparato. Trovarono che la pietra era stata rimossa dal sepolcro e, entrate, non trovarono il corpo del Signore Gesù”.
In questa notte santa imitiamo le ‘Mirofore’. Assomigliano un po’ ai Magi, dei quali condividono la sapienza, che le spinge a mettersi in cammino verso il sepolcro per ‘visitare lo sposo’ e versare i profumi sul suo corpo, come i saggi di oriente portarono profeticamente la mirra al Re bambino. Esse attraversano due ponti indissociabili della vita ecclesiale. Non si lasciano impaurire dalla morte, ma passano per il sepolcro perché vogliono rimane nella contemplazione del loro Signore; non si lasciano intimorire dal mondo e tornano al Cenacolo diventando così apostole, missionarie. Ecco il cammino che ci è proposto: dalla visione alla testimonianza! Questa liturgia davvero mette in circolo un potenziale di vitalità che
oltrepassa le mura del tempio e chiede di traboccare nel culto della vita quotidiana.
La Veglia che celebriamo ci chiede di dar vita ad una cultura della Pasqua fatta di
ospitalità – ci si visita a vicenda – di convivialità delle differenze – si apparecchia la tavola della parola e del cibo per condividere con tutti, nessuno escluso ciò che nutre e fa vivere – e di affettività fraterna – ci si abbraccia, non solo nella celebrazione Eucaristica ma in tutti gli ambienti di vita perché non sia vano il dono della pace che Cristo risorto fa anche a noi: il mondo più che mai oggi ha bisogno di perdono e di tenerezza!
La Pasqua sia per noi e per tutti redenzione dalla tristezza: Cristo è risorto, è davvero risorto! Non vergogniamoci di gridare di gioia davanti all’opera inaudita di Dio che ha capovolto l’ordine della natura, fino allora dominato dalla morte. Il Signore è risorto, è davvero risorto!