LETTERA DALLA CARITAS – LUGLIO 2019
Si racconta nei Vangeli di un uomo nudo e senza casa, viveva lontano dalla città, senza relazioni, legato con catene, privo di libertà; un uomo che gridava e si percuoteva (Mc, 5,1-20); un uomo che un po’ di assomiglia: anche noi oggi siamo ‘urlanti’, spesso dipendenti, capaci non solo di fare, ma anche di farci, del male. Nel passato come nel presente emerge la questione antropologica: chi è l’uomo? Anche la Chiesa è chiamata a confrontarsi con questa enorme sfida. Si va affermando una visione dell’uomo, ma in fondo anche del cosmo che, se da una parte ha le stesse caratteristiche del passato, dall’altra registra novità difficili da interpretare. E’ quanto mai importante allora riprendere in mano una delle arti, più appassionanti e nello stesso tempo più faticose, che è quella dell’educare. Il compito educativo rimane una missione chiave per ogni comunità, non solo per quella cristiana. La stessa Caritas non deve dimenticare che la sua funzione è ‘prevalentemente pedagogica’.
Si tratta di puntare in alto, di ampliare gli orizzonti per affrontare la complessità dell’attuale contesto socio-culturale perchè, come ebbe a dire papa Francesco al V Convegno nazionale della Chiesa Italiana tenutosi a Firenze, “oggi non viviamo un’epoca di cambiamento quanto un cambiamento d’epoca. Le situazioni che viviamo oggi pongono dunque sfide nuove che per noi a volte sono persino difficili da comprendere. Questo nostro tempo richiede di vivere i problemi come sfide e non come ostacoli: il Signore è attivo e all’opera nel mondo”(10 novembre 2015).
Tante sono le domande, le richieste, le perplessità e i bisogni, il più delle volte contraddittori nella loro formulazione di aiuto e di difficile lettura e interpretazione. Così, in assenza di forti riferimenti valoriali e soprattutto umani, si ha l’impressione di essere trascinati dentro una terribile confusione e una rischiosa omologazione.
Ora non ci si può fermare alle solite analisi e alle inutili lamentele, né si può rimanere insensibili spettatori di fronte a tale situazione, ma occorre attingere alle risorse della cultura pedagogica.
D’altronte questo ‘Mal di vivere’ quotidiano non riguarda qualche categoria di persone, ma tutti, ognuno di noi: dal bambino all’anziano, dal diversamente abile, all’immigrato, dal giovane indifeso all’adulto bistrattato.
Quanti bambini fanno fatica a sentirsi amati perché continuamente parcheggiati nelle varie attività pomeridiane? Quanti giovani, a volte tremendamente delusi da una certa scuola o dal mondo del lavoro, vivono in attesa del weekend per riversarsi sui marciapiedi della città, accovacciati e intontiti da sostanze ed alcool? Quante famiglie si disgregano e quanti genitori sono totalmente disorientati affettivamente ed educativamente? Quanti anziani si sentono solo un peso per i familiari e la società ed hanno la sensazione dell’inutilità del loro esserci? Quante persone diversamente abili, con disagio psichico o con situazioni di povertà non trovano un posto nella comunità? Quanti immigrati giungono feriti e pieni di incognite e si sentono da tanti umanamente respinti, anche da chi si dice cristiano?…
Forse a volte non lo vogliamo ammettere, ma tutti siamo poveri, non sempre di beni materiali, ma soprattutto di umanità. In fondo desideriamo che qualcuno ci faccia sentire importanti, recitiamo ruoli per sentirci appagati, ostentiamo sicurezza che invece non abbiamo, esplodiamo di aggressività e rabbia per imporre le nostre idee e i nostri schemi, ricerchiamo amicizie importanti, anche a caro prezzo.
In fondo, pur utilizzando un lessico differente e seppure con diverse sfaccettature, tutti siamo accomunati dalla stessa condizione che spesso si cela dentro di noi fino a farci acquisire un volto diverso. Un volto che nasconde quella maledetta paura di accettare i propri limiti, le proprie fragilità, le proprie brutture. Tutti abbiamo bisogno dell’altro per essere noi stessi, al di là della posizione sociale che si occupa, del colore della pelle, dell’ideologia che si sposa. Ed è proprio l’incontro con la diversità che ci arricchisce!
E’ evidente allora che non possiamo accogliere la fragilità dell’altro se non sappiamo accogliere la nostra! Ecco l’importanza del compito educativo che di per se non è teso a potenziare se stessi ma a costruire un futuro insieme, una storia condivisa.
Da queste premesse si intuisce come diventa sempre più necessario ‘fare rete’ sinergica dentro una comunità educante che accoglie tutti, riconoscendone i bisogni e offrendo opportunità e servizi, perché tutti abbiamo la stessa dignità che deriva dall’essere uomini e donne e, per chi è credente, dall’essere figli dello stesso Padre.
Sarebbe davvero bello accogliere insieme le tante e difficili domande, provare a dare risposte congiunte, aprire tavoli di confronto, di dialogo, di concertazione, con l’intento di offrire il massimo a tutti, a cominciare da chi la situazione economica o di fragilità non glielo permette. Dentro una cultura, non dello scontro, ma dell’incontro, anche il vicino di casa, chiunque esso sia, ne sarà grato, perché si sentirà restituita la propria dignità oltre alla qualità e al gusto della vita.
A conclusione viene da chiedersi quale può essere l’apporto dei cristiani?
Torniamo all’uomo del vangelo: grazie all’incontro con Gesù si ritrova seduto, cioè pacificato, rivestito della sua dignità e sano di mente (Mc 5,15).
Significative sono le parole di S. Giovanni Paolo II: “Il Concilio Vaticano II, nella sua penetrante analisi «del mondo contemporaneo», perveniva a quel punto che è il più importante del mondo visibile, l’uomo, scendendo – come Cristo – nel profondo delle coscienze umane, toccando il mistero interiore dell’uomo, che nel linguaggio biblico (ed anche non biblico) si esprime con la parola «cuore». Cristo, Redentore del mondo, è Colui che è penetrato, in modo unico e irrepetibile, nel mistero dell’uomo ed è entrato nel suo «cuore». Giustamente, quindi, il Concilio Vaticano II insegna: «In realtà, solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo”(RH n.8).