Una sera d’estate può capitare di leggere una pagina di un vecchio e discusso romanzo di Pierpaolo Pasolini, intitolato “Ragazzi di vita”, scritto nel lontano 1955. Lo spazio entro cui si muovono questi ragazzi è quello della periferia romana del secondo dopoguerra e dietro il racconto si nasconde una denuncia della situazione di miseria in cui è lasciata vivere una parte della popolazione. Scorrendo le pagine, quello che stupisce è, in un certo senso, la somiglianza con quanto ora si vive, non più in periferia, ma al centro delle nostre città. Ragazzi che non avendo più dei punti di riferimento stabili, come la famiglia, la scuola e lo stesso lavoro, agiscono in balia dei loro impulsi in una esasperata continua ricerca del denaro e di ciò che possa garantire immediatamente piacere e soddisfazioni.
Protagonista del romanzo è “Il Riccetto” che, pur vivendo in modo selvaggio e senza regole, è capace di gesti di bontà e di tenerezza come quello di buttarsi in acqua per salvare una rondine che sta per annegare.
Ce n’erano tante di rondinelle, che volavano rasente i muraglioni, sotto gli archi del ponte, sul fiume aperto, sfiorando l’acqua con il petto. La corrente aveva ritrascinato un poco la barca indietro, e si vide infatti ch’era proprio una rondinella che stava affogando. Sbatteva le ali, zompava. Il Riccetto era ginocchioni sull’orlo della barca, tutto proteso in avanti. <<A stronzo, nun vedi che ce fai rovescià?>> gli disse Agnolo. <<An vedi,>> gridava il Riccetto, <<affoga!>> […] Poi senza dire niente si buttò in acqua e cominciò a nuotare verso di lei. Gli altri si misero a gridargli dietro e a ridere: ma quello dei remi continuava a remare contro corrente, dalla parte opposta. Il Riccetto s’allontanava, trascinato forte dall’acqua: lo videro che rimpiccioliva, che arrivava a bracciate fino alla rondine, sullo specchio d’acqua stagnante, e che tentava d’acchiapparla. << A Riccettooo, >> gridava Marcello con quanto fiato aveva in gola, << Perché nun la piji? >> Il Riccetto dovette sentirlo perché si udì appena la sua voce che gridava: << Me pùncica!>> << Li mortacci tua,>> gridò ridendo Marcello. Il Riccetto cercava di acchiappare la rondine che gli scappava sbattendo le ali e tutti e due ormai erano trascinati verso il pilone dalla corrente che lì sotto si faceva forte e piena di mulinelli << A Riccetto, >> gridarono i comni dalla barca, << E lassala perde!>> Ma in quel momento il Riccetto s’era deciso ad acchiapparla e nuotava con una mano verso la riva. << Tornamo indietro daje,>> disse Marcello a quello che remava. Girarono. Il Riccetto li aspettava seduto sull’erba sporca della riva con la rondine tra le mani […] Ci volle poco perché s’asciugasse : dopo cinque minuti era là che rivolava tra le comne sopra i Tevere e il Riccetto ormai non la distingueva più dalle altre.
Chissà perché, leggendo questa paginetta, mi viene da sottolineare alcune righe che richiamano scene e immagini di attualità, di cui oggi però si evita di parlarne, perché diventate tabù. “Il Riccetto” vede “ch’era proprio una rondinella che stava affogando”: l’arrivo delle rondini annuncia la primavera, come quando giunge un’altra persona nella nostra vita. E’ vero che l’altro può ‘pungicare’, ma non per questo lo si può lasciare affogare. Ma “gli altri si misero a gridargli dietro e a ridere”: capita sempre più spesso di sentire alle spalle le urla e la derisione degli amici quando ci si butta in acqua e si rischia per un salvataggio. Pare di sentire, anche dentro la chiesa, espressioni del tipo “lascia perdere…chi te lo fa fare!”. E’ facile farsi risucchiare dalla cultura della morte e dalla logica della paura, che prima o poi faranno annegare proprio chi pensa di essere al sicuro. L’autore conclude: “Ci volle poco perché s’asciugasse”. In realtà non ci vuole molto per rimettere in piedi chi è caduto e sta morendo. Basta un cuore appassionato, una mente esperta nell’arte del pensare, delle viscere che si muovono a compassione.
‘Il Riccetto’ ha compiuto questo gesto perché comunque libero da ogni tipo di contaminazione. Emarginato si, da una società che lo definisce povero, ma capace di accorgersi della fragilità dell’altro e di intervenire, pur correndo il rischio di farsi male. Scriveva Ernesto Balducci: “Può bastare un gesto di umanità per avviare un corso diverso delle cose, per avviare un mondo di pace”.
Ma tornando al romanzo, purtroppo anche ‘Il Riccetto’ perde questa tenerezza degli anni più giovanili, infatti nell’episodio finale assiste impotente alla morte del suo ultimo amico Genesio, che annega nelle acque e, per evitare eventuali guai, dato che ormai ha un lavoro, assiste impotente alla morte dell’amico. Sta avvenendo l’integrazione con il mondo dei “normali” e dei consumisti che lo rende indifferente e parte di una società caduta nell’omologazione.
Questo finale fa davvero pensare: quando si parla di poveri il nostro obiettivo è ‘l’integrazione’, ma viene da chiedersi: in quale tipo di società vogliamo inserirli perché ognuno possa riconoscersi nella sua unicità e diversità, unica possibilità di crescita per se e per l’altro?!
Eppure è curioso vedere ovunque adulti e giovani vestiti con geans strappati e magliette sgualcite, come fossero dei poveri. All’apparenza potrebbe far pensare all’integrazione, ma nello stile di vita, nelle relazioni e nelle narrazioni si riscontra un grandissimo divario. Sembra strano, ma c’è davvero da imparare dai poveri! Si legge nella lettera di Giacomo: “Ascoltate, fratelli miei carissimi: Dio non ha forse scelto i poveri agli occhi del mondo, che sono ricchi nella fede ed eredi del Regno, promesso a quelli che lo amano? Voi invece avete disonorato il povero! Non sono forse i ricchi che vi opprimono e vi trascinano davanti ai tribunali? Non sono loro che bestemmiano il bel nome che è stato invocato sopra di voi?” (2,5-7)
Ma chi il povero? E’ quel ‘Riccetto’, non ancora contaminato, per cui ha avuto il coraggio di tuffarsi anche per una rondine! E chissà se in questo recupero dell’umano, nella ripescare rimasugli di tenerezza, non irrompa anche la sete dell’Oltre?!