“È il nostro Patrono ed è una gioia particolare, in questo tempo così segnato da tanta sofferenza e preoccupazione, trovarci qui con tutte le Chiese che sono in Italia e con il Presidente del nostro Paese, che rappresenta tutti gli italiani e le italiane e che ringrazio di cuore per la sua presenza e per il suo servizio, pieno di saggezza e di convinta passione per difendere gli ideali costitutivi del nostro Paese. Grazie perché ci rappresenta e ci incoraggia a sentirci parte di questo nostro bellissimo Paese”.
E’ con queste parole che il card. Zuppi, Presidente della CEI ha iniziato la sua omelia in occasione della festa di San Francesco ad Assisi martedì scorso 4 ottobre alla presenza del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, dei Ministri Garavaglia, Giovannini e Lamorgese, del Presidente dell’Umbria, del Sindaco di Assisi, e di tante altre autorità oltre a numerosi cardinali e vescovi. L’accensione della lampada votiva a San Francesco, gesto altamente simbolico, quest’anno spetta al capo dello Stato, a nome di tutto il nostro Paese. Mattarella compie il gesto con semplice solennità subito dopo l’offerta dell’olio, mille litri, offerti da tutte le regioni italiane insieme, a significare la particolarità del momento storico e delle difficoltà del nostro paese dopo la pandemia COVID 19. Infatti la CEI ha voluto ricordare quest’anno tutti i morti della pandemia e tutte le persone, dai medici agli infermieri, alle forze dell’ordine, alla Protezione Civile, ai tantissimi volontari ed alle tante associazioni tra cui la Caritas che si sono prodigate per portare un po’ di luce e di speranza in un momento di profondo dolore e buio per il nostro paese e l’umanità intera.
Infatti il card. Zuppi nella sua omelia dopo aver ricordato che “abbiamo bisogno di luce, che vuol dire speranza”, ha ricordato quel tristissimo periodo: “Nella tempesta della pandemia abbiamo sperimentato tanto buio, inatteso e prolungato. Lo descrisse Papa Francesco nella memorabile preghiera in Piazza San Pietro: “Da settimane sembra che sia scesa la sera. Fitte tenebre si sono addensate sulle nostre piazze, strade e città; si sono impadronite delle nostre vite riempiendo tutto di un silenzio assordante e di un vuoto desolante, che paralizza ogni cosa al suo passaggio: si sente nell’aria, si avverte nei gesti, lo dicono gli sguardi. Ci siamo trovati impauriti e smarriti”. Non dimentichiamo questo. Non vogliamo dimenticare, come quando si vince il dolore rimuovendolo o divorandolo nella bulimia di emozioni che non diventano sentimenti, consapevolezza, scelte, umanità. Raccogliamo oggi il testamento affidatoci da chi non c’è più per colpa del COVID.
I loro nomi abbiamo raccolto proprio sapendo quanta amarezza e sconforto ha generato non poter essere vicini a loro nell’ultimo tratto della vita. Ricordiamo tutti coloro i cui nomi portiamo nei nostri cuori e li affidiamo all’amore di Dio, perché siamo nella luce dell’amore che non finisce. Non sono più tornati a casa e non abbiamo potuto accompagnarli, come loro e noi avremmo desiderato. Per molti solo le videochiamate hanno rappresentato dei veri e propri testamenti struggenti. Resta l’amarezza lacerante per un discorso interrotto, lo sconforto che fa apparire tutto vano. In quella notte terribile abbiamo visto anche tante luci, tutte, consapevolmente o meno, riflesso di un amore più grande. Abbiamo capito che non si può lasciare nessuno solo e anche che il buio può essere sconfitto, pure solo con una piccola lampada di umanità.
Sono state le luci che il personale sanitario ha acceso con i piccoli grandi gesti di umanità: consolando lacrime, stringendo mani, dando sicurezza, anche solo una carezza o uno sguardo. Ricordo quanti di loro come delle forze dell’ordine, dei farmacisti, operatori di carità hanno perso la vita per motivo del servizio, continuando ad aiutare nell’emergenza. Essi sono tra i giusti che ascoltano quelle tenere parole di gratitudine di Dio: ero malato e sei venuto a visitarmi, prendi parte alla gioia che non finisce. Ecco oggi siamo nella casa di San Francesco, Patrono dell’Italia, a ricordare, a ringraziare ma anche a scegliere perché non vogliamo dimenticare velocemente “le lezioni della storia”. «Voglia il Cielo che alla fine non ci siano più “gli altri”, ma solo un “noi”. Che non sia stato l’ennesimo grave evento storico da cui non siamo stati capaci di imparare. Che un così grande dolore non sia inutile, che facciamo un salto verso un nuovo modo di vivere e scopriamo una volta per tutte che abbiamo bisogno e siamo debitori gli uni degli altri, affinché l’umanità rinasca con tutti i volti, tutte le mani e tutte le voci, al di là delle frontiere che abbiamo creato»… Aiutare gli altri ci fa trovare noi stessi! E’ questo il giogo dolce e soave che ci unisce a chi per primo si è legato a noi, Gesù: un legame di amore che ci libera dal giogo pesante e insopportabile dell’individualismo. Se ne esce solo insieme! Le difficoltà non sono affatto finite. Lo vediamo drammaticamente nel mondo e nel nostro Paese. Affidiamo l’Italia all’intercessione del nostro Patrono.”
Il Presidente della CEI più volte nella sua omelia ha ripetuto la frase “Fratelli tutti”ponendo molta enfasi sul senso di fraternità che deve accompagnare tutte le nostre azioni: “Fratelli tutti è il contrario della pandemia del COVID… Fratelli tutti, ad iniziare dai più fragili, come gli anziani, che sono una risorsa e non un peso, che vanno protetti a casa dove conservano tutte le loro radici e ci aiutano a trovarle. Fratelli tutti che guardano al futuro, lo desiderano per gli altri lottando contro il precariato dei giovani, dando loro fiducia e sicurezza perché possano dimostrare le loro capacità senza paternalismi insopportabili. Futuro che chiede rispetto dell’unica casa, dell’ambiente, perché possiamo continuare a cantare la bellezza del creato. Curiamo le ferite profonde nascoste nelle pieghe della psiche, con la competenza professionale ma anche tessendo comunità e fraternità che donano sicurezza e fanno sentire protetti e amati. La nostra comunità è forte, ha tanta storia e umanità, per essa nessuno è straniero e insieme si trova il futuro che tutti desiderano. Viviamo la benedizione che sempre è la vita, la sua bellezza perché sia appassionante trasmetterla e donarla, garantendo la grandezza della maternità”.
L’ultimo pensiero del cardinale è stato per la guerra con il carico di dolore, sopraffazione e morte che porta con sé: “Con San Francesco crediamo che il lupo terribile della guerra sia addomesticato e facciamo nostro l’accorato appello di Papa Francesco indirizzato certo ai due presidenti coinvolti direttamente, uno aggressore e l’altro aggredito, ma anche a quanti possono aiutare a trovare la via del dialogo e le garanzie di una pace giusta. Come San Francesco tutti possiamo essere artigiani di pace. Ecco la luce della lampada che l’Italia intera accende oggi con il suo Patrono, perché tante luci rendano umana e fraterna questa nostra unica stanza che è il mondo. Laudato Si’. Fratelli tutti. Grazie San Francesco, prega per noi, per l’Italia e per il mondo intero. Pace e bene”.
Dopo la Messa il messaggio di Mattarella, un messaggio unico, ma con più destinatari: l’Italia, l’Europa, il mondo. Il capo dello Stato ha sottolineato innanzitutto come l’accensione della lampada di san Francesco sia “un gesto di fraternità che è prova di unità ed è espressione della pluralità che rende il nostro Paese così ricco di esperienze, di bellezze, di creatività, di passioni civili. San Francesco è una delle radici antiche della nostra identità. E la forza profetica delle sue scelte di vita ha esaltato valori che sentiamo vivi per il domani dell’Italia, dell’Europa, del Mediterraneo, del mondo”. Il Presidente ha per primo ricordato la necessità della pace, quella pace tradita proprio nel cuore dell’Europa, e del dialogo per ritrovare la concordia con la richiesta di abbandonare la prepotenza che ha scatenato la guerra. E poi l’armonia del creato ricordando che lo spirito di Assisi ed il messaggio francescano interroga ciascuno di noi al di là della fede.