PALLINE DI ARGILLA

Lettera dalla Catitas – Novembre

La maestra raccontava spesso delle storie. E noi bambini eravamo molto attenti. Ci incantava. A novembre non indossavamo maschere di fantasmi ne andavamo per le case a dire ‘dolcetto o scherzetto’, ma visitavamo i cimiteri con i genitori o i nonni. Camminare tra le tombe, tra un’esplosione di fiori e di luci, mi faceva sentire comunque vive quelle persone che vedevo nelle foto.

La maestra ci parlava anche della vita dei santi, uomini e donne speciali, costruttori di una “società altra”. Per la festa di San Martino, l’11 novembre, ci narrava l’episodio in cui questo soldato dona metà del suo mantello ad un povero. Ci insegnava così, in maniera semplice, la bellezza della condivisione, della solidarietà, della fraternità vissuta.

Mentre sembra farsi ancora strada un terribile individualismo che isola, impoverisce ed intristisce, più che dare spazio allo scoraggiamento e alla lamentela, è importante valorizzare quelli che sembrano piccoli dettagli, rimboccarsi le maniche e porre piccoli gesti che seminano un po’ di bene nel terreno della storia.

Mi è capitato ultimamente di leggere un libro interessante di Alessandro Bonetti, “Una parrocchia di palline di argilla(ed. Paoline) e mi è piaciuta questa immagine. In alcune parti del mondo, in particolare in Brasile, dove il disboscamento rischia di generare deserto, da qualche tempo si è messa in pratica una tecnica di agricoltura naturale, inventata dal giapponese Masanobu Fukuoka, quella delle palline di argilla. Si prendono tanti semi di diverse piante, si impastano con argilla fine ed acqua, poi si fanno delle palline che vanno messe ad essiccare al sole: secca l’argilla ma all’interno si mantiene l’umidità. Infine, ogni giorno, si seminano in luoghi inariditi. I semi contenuti nelle palline piano piano germinano ed alcuni attecchiscono creando un piccolissimo microclima. La maggior parte dei semi viene perduta, ma la semina continua favorisce la nascita di alcune piante e il progressivo rinverdimento!

In questo mondo, ma anche in questa Chiesa, in cui sembra espandersi la ‘desertificazione’, forse non basta fare analisi della situazione o cercare dei ‘colpevoli’- che guarda caso sono sempre gli altri! – ma è bello essere come tante palline d’argilla, seminate ogni giorno, perché  ogni campo arido possa rinverdire.

Basterebbe partire dalla propria umanità, così com’è – siamo fatti di terra – impastandola con l’acqua, sempre viva, del battesimo, mettendoci dentro quei semi che troviamo nelle beatitudini. Sono semi che fanno crescere piante particolari come quelle della povertà che arricchisce, del pianto che consola, della mitezza che conquista, della giustizia che sazia, della misericordia che rialza, della purezza che rende belli, della pace che unisce…per esporre poi tutto a quel sole che è lo Spirito del Risorto.

Quando seguiamo Gesù, felici di essere attratti da lui, gli altri se ne accorgono, il loro cuore si riempie di meraviglia e di stupore, e la Chiesa diventa ‘attraente’ e quindi ‘generativa’…nel deserto iniziano a spandersi piccole oasi!

Anche alla Caritas sono i piccoli gesti di attenzione, mentre si porge un pasto, si consegna un abito, si coltiva l’orto, si insegna un canto, si anima un laboratorio o si accompagna un ragazzo nel percorso scolastico o lavorativo, che fanno sentire a casa, fanno stare col cuore contento anche dentro innegabili fallimenti. La tenerezza, che si fa concreta nella ferialità, pian piano può cambiare il mondo!

Qualcuno potrebbe chiedersi: cosa posso fare? Con il tempo di Avvento vorremmo riaprire la mensa presso la Caritas diocesana per evitare lo spreco, la costosissima e inquinante plastica che comporta l’asporto e avere uno spazio di socializzazione e fraternità. C’è bisogno di un gruppo di 3/4 persone, un giorno alla settimana dalle 12.00 alle 13.30, che assicurano il servizio a tavola. Se qualcuno è disponibile può contattare la Caritas parrocchiale o diocesana.

Anche così costruiamo una Chiesa come ci insegna a sognarla papa Francesco: “È bella una Chiesa con il volto lieto, il volto sereno, il volto sorridente, una Chiesa che non chiude mai le porte, che non inasprisce i cuori, che non si lamenta e non cova risentimento, non è arrabbiata, non è insofferente, non si presenta in modo arcigno, non soffre di nostalgie del passato cadendo nell’indietrismo” (omelia per la beatificazione di Giovanni Paolo I 04.09.2022).