FATE QUESTO…

GIOVEDI SANTO 2019

«Dove vuoi che ti prepariamo per mangiare la Pasqua?». «Andate in città da un tale e ditegli: il Maestro ti manda a dire: il mio tempo è vicino. Farò la Pasqua da te con i miei discepoli».

Questa sera torniamo anche noi in quella grande sala dove si è svolta e si svolge  la cena pasquale! Senza quella Cena, senza questa Cena, saremmo figli di Dio dispersi, ognuno a vagare per suo conto, per la sua strada.

Scrive don Primo Mazzolari: «Vi sono giorni in cui non si può mangiare sul margine della strada o all’ombra di un fico. Il cuore, assalito da ricordi e traboccante di un dono incontenibile, non può dichiararsi a un qualunque crocevia. Ci vuole un uscio che si apra sopra una larga stanza. Se no sarebbe sacrilegio. Ed ecco che un uomo senza nome, un padrone di casa, gli impresta la sua camera più bella. Egli ha dato ciò che aveva di più grande perché intorno al grande sacramento ci vuole tutto di grande, camera e cuore, parola e gesti. Me lo raffiguro, quel padrone di casa, alla fine del banchetto, con la moglie e i figlioli, nel vano della porta semiaperta, farsi avanti per ultimo, mendicante più che commensale, mendicante di un pane che aveva preparato con le sue mani e che il Cristo, benedicendolo, aveva cambiato in pane di vita eterna».

Tutto questo vuol dire  che non possiamo celebrare questo grande mistero con un cuore piccolo: è il vero sacrilegio, quello che Paolo rimproverava nella lettera ai cristiani di Corinto, che celebravano l’Eucaristia, dopo una cena in cui avevano pensato solo a sfamare se stessi, avevano pensato solo a sé. Occorre celebrare con un cuore grande, aperto all’inatteso, capace di evitare esclusioni, così come l’ha voluta e celebrata il Signore.

In quella sala ampia, quella sera, Gesù compie due azioni profetiche, con l’obiettivo di porre i fondamenti della Chiesa: l’istituzione dell’Eucarestia e la lavanda dei piedi ai discepoli. Entriamo anche noi nella pratica di queste due memorie che ci portano in due ambiti, distinti ma ravvicinati, uno cultuale e l’altro esistenziale: “fate questo in memoria di me”- l’Eucaristia –  e “un esempio che vi ho dato perché come io ho fatto, facciate anche voi”- il comandamento dell’amore. Le due memorie sono intrecciate a tal punto che la ripresentazione liturgica della Pasqua è ordinata all’azione, alla vita.

Fermiamo la nostra attenzione sulla lavanda dei piedi che ha origini molto antiche, sia come rituale di ospitalità praticato per i poveri nei monasteri, sia come rito battesimale. Gesù durante la Cena depone la veste per poi riprenderla, allusione al dono di sé che realizzerà sulla croce, dove si spoglierà della sua vita per poi riprenderla di nuovo. Così facendo rivela la sua identità messianica: l’umile gesto di pulire i piedi dell’ospite, comunemente affidato ai domestici, fa prendere forma alla logica capovolgente di un Dio che serve l’uomo, un Dio che non chiede ma dona la propria vita.

Forse non siamo ancora pronti, come non lo erano Pietro e gli apostoli, ad immaginare un Dio che si abbassa sino a terra, all’altezza dei propri piedi. Non è facile accettare un Dio che si fa uomo e non ci chiede di prostraci davanti alla sua potenza, ma si inchina di fronte alla nostra sporcizia e ci ‘purifica’. Ci troviamo di fronte ad un Messia rovesciato, un Re–Servo, ci troviamo di fronte al mistero grande dell’Amore!

In questa sua ultima settimana al mondo, Gesù, infatti dopo aver amato i suoi,  vuole amarli «sino alla fine» (Gv 13,1) e  lo fa cominciando dai piedi. «Non mi laverai i piedi in eterno», dice Pietro; «se non ti laverò non avrai parte con me», replica paziente Gesù.

La memoria  di questo gesto messianico compiuto nel Cenacolo ci porta non solo alla contemplazione, ma di conseguenza anche all’imitazione nell’oggi, e nello stesso tempo ci proietta verso il futuro, perché il Signore quando verrà di nuovo e ci prenderà con se, nella casa del Padre, ci introdurrà nel banchetto preparato per noi e passerà a servirci.

Viene in mente il gesto compiuto da papa Francesco, pochi giorni fa, di baciare i piedi ai due potenti leader del Sud del Sudan: alcuni, come in quell’ultima cena, anche oggi si sono scandalizzati, ma in realtà il papa non ha compiuto semplicemente un gesto di umiltà, ha obbedito  all’invito di Gesù: «Come io ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri». E’ una lezioni d’amore che Gesù continua a dare alla Chiesa e all’umanità! E’ una lezione per noi! Come sarebbe bello se imparassimo a chinarci fino ai piedi di chi ci ha tradito, di chi ci ha offeso, di chi ci ridicolizzati o calunniati…tutto si cancella con un gesto concreto d’amore! Un piccolo gesto che parla però di un cuore grande!

E nella ‘piccolezza’ che quel Dio, che pure ha fatto il cielo e la terra, tutte le creature e gli uomini e le donne a sua immagine e somiglianza, si rivela anche nell’Eucaristia. Il Signore realmente, seppur misteriosamente, si fa presente in un sorso di vino e in un pezzo di pane consacrati. Un pane  che viene posto in tutte le mani, anche le più povere, le più sporche, come quelle di Giuda che lo aveva venduto, quelle di Pietro che l’avrebbe rinnegato, quelle di tutti gli altri che sarebbero fuggiti, come le nostre mani, non meno sporche di quelle (la lingua a volte è molto più sporca!). Eppure dentro questa ‘piccolezza’ estrema possiamo adorare qualcosa di veramente grande: «Nessuno ha un amore più grande» dice Gesù. Questo vino versato e  questo pane spezzato sono trasfigurati da un amore che più grande non c’è!

Ora non possiamo dimenticare che in quell’ultima cena Gesù per ben due volte fa una consegna: «Fate questo» dice a proposito del rito pasquale e fate questo dice a proposito della lavanda dei piedi che solleva la stanchezza dei fratelli. Una cosa e l’altra. E mai una senza l’altra. Ecco perché forse è bene digiunare dall’Eucaristia che di questi tempi non ha riconosciuto nei poveri, negli immigrati, nelle persone più in difficoltà dei fratelli in Cristo Gesù!

Questa è la consegna per noi in questo cenacolo di sempre: la fedeltà all’Eucaristia che ci porta a contemplare il mistero di Dio, non come lo abbiamo immaginato o lo immaginiamo, ma come ce lo ha rivelato Gesù: un Dio che ci ama con un amore da ‘spreco’, esagerato, smisurato, tanto da abbassarsi fino ai nostri piedi. Questa è la consegna per noi in questo cenacolo di sempre: lavarci i piedi gli uni gli altri, servirci gli uni gli altri. Sarebbe un sacrilegio l’Eucaristia se non rimarremmo nel suo amore che sa sempre di fraternità vissuta, di carità concreta, di parole e gesti che parlano il linguaggio delle tenerezza.

Queste due consegne accogliamo in questo giovedì santo e…siccome l’Eucaristia è collegata all’istituzione del sacerdozio ministeriale, preghiamo per il papa Francesco, per il nostro vescovo Carlo e per i nostri preti …quanta fatica a volte facciamo nel celebrare con fede i sacramenti e quanta più fatica facciamo nel chinarci fino ai piedi dei propri confratelli, della gente della propria comunità, dei poveri…..pregate per noi perché possano essere testimoni di un Dio che si inchina davanti alle sue creature, come un papà e una mamma si china per abbracciare i propri figli e portarli dove da soli non sanno né possono arrivare. Amen.